a cura di Francesca Poser
Non giudicare sbagliato ciò che non conosci,
cogli l’occasione per comprendere.
(P. Picasso)
Quello dell’alimentazione è un tema che riscontra sempre più interesse anche tra genitori ed educatori. Il campanello d’allarme scatta spesso quando ci troviamo di fronte ad un bambino che mangia troppo o troppo poco. Si susseguono allora tentativi ed esperimenti per risolvere questo “problema”.
In questo caso ha senso fermarsi un attimo e chiedersi se il cibo abbia solo un significato nutrizionale per il bambino e per l’adulto, anche nel primo periodo dell’infanzia che apparentemente è meno “pericoloso” di altri ma che è fase fondamentale di costruzione di sé e della relazione con il cibo.
Il rapporto che il bambino instaura con il cibo è infatti carico di informazioni riguardanti il suo appetito, la sua salute e molti altri aspetti del tutto individuali più riconducibili alla sfera psicologica. Sappiamo tutti che il primo atto nutritivo avviene all’interno di una relazione affettiva, dove insieme al latte materno, il bambino sperimenta l’accoglienza (o il rifiuto), le attenzioni, le emozioni connesse con il suo arrivo.
Vi è dunque una stretta relazione tra dimensione nutritiva e dimensione affettiva, tale da rendere l’alimentazione un canale privilegiato in cui il bambino può esprimere se stesso.
Quando nutriamo i nostri figli, passiamo loro molto più del cibo.
Li nutriamo anche di quello che è il nostro rapporto con il cibo e con il nostro corpo, di quello che è il nostro modo di ricevere, di rifiutare, di accogliere.
Quando una donna è incinta, il modo in cui ha cura di se stessa, ciò di cui si nutre e come lo fa, incidono notevolmente sulla crescita fisica ed emotiva del feto. Così nelle prime fasi di nutrimento del bambino, gli sguardi, il contatto, gli scambi relazionali diventano veicolo di significati.
Mano a mano che i bambini crescono, le figure di riferimento andranno a veicolare – spesso inconsapevolmente – messaggi impliciti, in cui il cibo può diventare simbolo di unione familiare, piacere della relazione, ricerca di socializzazione. Proviamo a pensare i diversi messaggi che può mettere in circolo il mangiare tutti insieme a tavola oppure sul divano davanti alla televisione.
Il cibo può altresì divenire strategia di ricatto o di gioco di potere da parte del genitore, o strumento di contrapposizione agli adulti.
Un altro aspetto da non trascurare riguarda le conseguenze sociali dell’educazione alimentare: la cornice del pasto diventa campo per sperimentare le regole sociali, l’autonomia e l’atteggiamento più o meno fiducioso verso il mondo.
E’ importante dare un senso a ciò che i nostri bambini stanno cercando di comunicare a tavola, e per comprenderlo meglio dobbiamo fare un passo indietro. Come adulti chiederci che relazione abbiamo con il cibo e con il nostro corpo: quando ci avviciniamo alla tavola portiamo con noi un patrimonio fatto di educazione, stili di vita, scelte alimentari, soddisfazione di bisogni personali….
Un patrimonio che dobbiamo conoscere bene nel momento in cui esigiamo dai bambini qualcosa rispetto al cibo: prima di pensare a cosa vogliamo dai bambini, pensiamo a cosa saremmo disposti a fare noi. I bambini ci osservano e ci conoscono, il messaggio educativo dovrebbe essere il più possibile coerente con le azioni che lo seguono.
Talvolta però ci dimentichiamo di considerare l’alimentazione come un elemento essenziale dell’educazione. Quando si tratta di alimentazione lasciamo spesso che siano i bambini a decidere al posto nostro e a dettare le regole.
La comunicazione genitori-figli anche a tavola è ricca di doppi messaggi, trasmessi anche senza che ce ne accorgiamo. Non esistono manuali di frasi da dire o non dire a tavola, e se ci fossero non basterebbero! Perché ci stiamo muovendo nel campo delle relazioni, in cui ognuno è parte attiva e porta con sè stili relazionali e caratteristiche personali del tutto uniche e in continuo movimento.
I genitori fanno sempre il meglio che possono e che riescono. Ma a volte, soprattutto a tavola, il rischio di inciampare in qualche “errore” è elevato. Uno fra tutti, usare il cibo come ricatto emotivo: “devi mangiarlo, perché l’ho preparato apposta per te, con tanto amore”. Tale messaggio, rinforzato e ripetuto nel tempo, diventa una sorta di ricatto, in cui la misura di quanto il bambino si alimenta diviene misura anche dell’affettività, “se mangi tutto, la mamma ti vuole bene”.
Come comportarsi allora?
Per nutrire concretamente ed affettivamente i nostri bambini, la migliore possibilità che abbiamo è quella di lavorare per essere consapevoli di cosa ci spinga ad agire in un certo modo.
Anche la sfida, la lotta con i genitori serve a confrontarsi con il mondo per poter fare esperienza di sé. Così come la rabbia che può emergere diviene strumento emotivo che consente di sviluppare il senso e la padronanza di sé.
Il faticoso compito di genitori, educatori, è anche quello di definire una direzione, e di mettere dei limiti. Il trucco – non sempre facile – è quello di agire (anche sgridando) non per reazione ma per scelta. E’ importante dunque prendersi del tempo per fermare una azione immediata e istintiva per dare spazio alla scelta del nostro comportamento.
Proviamo a sperimentare cosa può divenire il momento del pasto, a esplorare insieme ai bambini una conoscenza del cibo che diventi conoscenza reciproca in famiglia.
Possiamo allenarci a diventare più consapevoli dei nostri gesti quando ci avviciniamo al cibo:
- utilizzando i nostri sensi
- creando insieme il pasto, manipolando gli ingredienti
- rallentando per assaporarne i gusti
- ascoltando il nostro corpo.
Così potremmo fare esperienza del senso di fame o di sazietà, di pieno e vuoto, costruendo insieme momenti piacevoli con i bambini. Appoggiamo per un attimo l’arma del giudizio: da campo di battaglia la tavola diventerà allora terreno di gioco e di esperimenti relazionali.
Ricordiamoci che ogni situazione in cui ci sentiamo in difficoltà può divenire lo spunto per riflessioni e approcci diversi, per osservare il percorso di crescita dei bambini, e può divenire opportunità di crescita per ciascuno di noi.