a cura di Elena Daniel
Il dibattito sull’utilizzo, soprattutto in ambito giornalistico e amministrativo, di un linguaggio rispettoso del genere è particolarmente acceso in questo periodo. Di cosa si tratta? E’ soltanto una questione politica? E che riflessi ha nell’educazione?
Cerchiamo di comprendere meglio il fenomeno. Ogni lingua non è lo specchio fedele della realtà ma è una costruzione socio-culturale: ciò significa che si è costruita nel tempo, sulla base delle modificazioni culturali e sociali che hanno attraversato la storia del popolo che la usa. Allo stesso tempo però, la lingua stessa modifica il modo in cui le persone leggono la realtà e definiscono se stesse.
Bambine e bambini sono particolarmente sensibili agli stereotipi
Nell’età evolutiva, si è particolarmente attenti a come uomini e donne si definiscano e si rappresentino, perché si ha bisogno di capire quale ruolo assumere nella vita e nella società. E il linguaggio veicola loro significati molto importanti.
Facciamo un esempio pratico. La lingua italiana prevede l’uso del maschile inclusivo: cioè quando si nomina ad es. un gruppo misto di bambini e bambine, si utilizza soltanto la parola bambini, come se fosse un genere neutro, che rimanda chiaramente all’idea che il gruppo sia composto da bimbi di entrambi i generi. Ma ciò che accade è il contrario: gli studi dimostrano che, quando si usa il maschile inclusivo, le persone inconsapevolmente deducano che vi siano soltanto maschi in quel gruppo. Ossia se non nomino le donne, esse non vengono pensate e quindi scompaiono.
Allo stesso modo, quando si parla di un gruppo di medici, o di deputati o di chirurghi, il genere femminile non viene dato per scontato: nella mente delle persone proprio non esiste. E questo non fa che consolidare gli stereotipi ad es. secondo cui certe professioni siano prerogativa del genere maschile.
Al maschile è meglio
Alcune donne stesse preferiscono che il proprio titolo venga declinato al maschile: dà un maggiore senso di autorevolezza e legittimazione. I documenti di moltissime scuole sono ancora firmati: il dirigente scolastico, per poi scoprire che è una donna. Qualsiasi bambina/o potrebbe chiedersi: ma perché se è una donna, si definisce al maschile? Forse sono più importanti gli uomini?
La questione non è grammaticale: l’Accademia della Crusca ha ben spiegato come la lingua italiana preveda tutte le possibilità per declinare i nomi correttamente al femminile. Secondo la docente di linguistica G. Giusti, sarebbe importante che diverse donne autorevoli occupassero cariche prestigiose, accettando di declinarne il nome al femminile: nel lungo periodo, se ne perderebbe la valenza discriminatoria. I cambiamenti necessitano sempre di tempo per essere accolti dalla società.
Ma suona male!
Questa è la giustificazione portata spesso da chi si rifiuta di utilizzare termini declinati al femminile. Anche qui, il fatto che suoni male è soltanto una questione di abitudine. Molti termini sembravano suonare male in passato, (vedi l’introduzione di operatori ecologici o portatori di handicap), eppure, in breve tempo, sono entrati nell’uso comune.
Il nocciolo della questione è che l’uso di un linguaggio più rispettoso del genere implica una rivoluzione di pensiero in senso ben più ampio rispetto alle sole parole usate. Non è soltanto una questione formale, richiede di prendere seriamente in considerazione una visione più paritaria del mondo, in cui non ci sia un gruppo a prevalere sull’altro.
Quali attenzioni avere in ambito educativo?
Ogni genitore o insegnante, se consapevole, può decidere quanto aderire e quanto distaccarsi dai modelli tradizionali di uomo e di donna proposti. E’ possibile aiutare bambine e bambini a costruire una cultura più rispettosa delle differenze individuali.
Ci si può chiedere nella scelta di programmi televisivi, giochi, libri, abiti quale idea di uomo e di donna comunichino. Le nuove generazioni possono essere guidate a riflettere criticamente rispetto ai ruoli di genere. Si possono ad esempio scegliere libri che presentino modelli diversi dal papà coraggioso che risolve i problemi e dalla mamma emotiva che aspetta a casa passando l’aspira polvere, proponendo storie di persone che hanno fatto scelte differenti;
Si può offrire la possibilità di giochi più vari rispetto alle macchinette/costruzioni per i bambini e le bambole/attività domestiche per le bambine. E’ importante anche per i bambini giocare a cucinare o parlare di emozioni, così come per le bambine può essere divertente occuparsi di giochi di logica o attività di movimento all’aperto.
Per quanto riguarda il linguaggio, è importante farne un utilizzo più rispettoso di entrambi i generi, consapevoli che i bambini sono sempre in ascolto ed imparano da noi:
– ricordandosi di nominare parimenti bambine e bambini e, allo stesso modo, nei gruppi misti, fare sempre accenno anche alla presenza femminile;
– quando si fa riferimento ad una donna, prendere in considerazione altro, rispetto al suo aspetto fisico, come le sue capacità e le sue conquiste, esattamente come si farebbe per un uomo. (Si è osservato infatti che ad es. nelle notizie collegate allo sport nelle Olimpiadi di Rio 2016 si faceva riferimento molto più spesso alle caratteristiche di bellezza o sensualità per le donne di quanto non si facesse per gli uomini, così come ai loro legami, moglie di , madre di… come se non fosse sufficiente parlare di loro come atlete). Ne consegue che volendo fare dei complimenti ad una bambina le si può ricordare che è ad es. una bambina intelligente, capace, oltre che bella;
– se una donna viene citata in quanto professionista, chiamarla con il suo titolo e non con signora o signorina (accade mai per un uomo?);
– evitando tutte le formule cariche di stereotipi di genere (il sesso debole/forte, la dolce metà, il gentil sesso…) o tutte quelle frasi che richiamano ad unico modo di poter essere uomini o donne (Non piangere perché sei un ometto, sei proprio la donnina di casa, una signorina non si comporta così ecc.)
Per approfondire:
– Linee guida per l’uso del genere nel linguaggio amministrativo del Miur, Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Roma, 2018
– Giusti, Giuliana e Regazzoni, Susanna (a cura di) 2009, Mi fai male Ca’ Foscarina Editrice, Venezia
– Rumiati, Raffaella 2010. Donne e uomini si nasce o si diventa? Farsi un’idea. Il Mulino, Bologna
– Sapegno, Maria Serena (a cura di), 2010. Che genere di lingua? Sessismo e potere discriminatorio delle parole, Carocci, Roma
– sito: www.giocodelrispetto.org/genitori/piccola-biblioteca/