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Non sono quello che avrei voluto: è tutta colpa dei miei genitori?

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a cura di Elena Daniel

Una collega ripete spesso: il passato può essere un fardello pesante o un trampolino da cui lanciarsi. Eppure a volte sembra più comoda la prima visione: il passato, l’educazione, i propri genitori sono chiamati ad alibi delle difficoltà che abbiamo nel presente, di quei comportamenti che non ci piacciono.

“Sono severo perché mio padre era sempre così”, “sono piena di paure che mi ha trasmesso mia madre” ecc. Anche se siamo adulti, per paura, abitudine o senso di colpa, i genitori tornano ad essere chiamati in causa come responsabili di ciò che siamo. Non si può negare che le esperienze dell’infanzia siano estremamente importanti nell’orientare la visione di se stessi, il proprio modo di costruire legami con gli altri ecc. ma ognuno di noi non è un essere inerte che vive sull’onda di un passato e nulla più. Siamo in continua trasformazione e possiamo fare del passato, anche del più negativo, uno strumento prezioso per affrontare il presente.

Un esempio concreto

Bolwby, famoso psicologo, ha formulato la ”teoria dell’attaccamento”, riconosciuta dai più importanti approcci psicologici. Egli ritiene che il tipo di legame che il bambino instaura con la figura di attaccamento (generalmente la madre ma può essere anche la nonna o il papà ecc. a seconda dei casi) funga da modello per le relazioni che costruirà in futuro con il/la partner e a sua volta con i propri figli.

I suoi studi hanno dimostrato che la teoria è piuttosto predittiva: osservando i genitori prima della nascita si può definire con una certa affidabilità il tipo di legame che questi instaureranno con il bambino e che lui a sua volta da adulto instaurerà con il /la sua partner. Ad esempio, semplificando molto: un bambino che percepisce la madre come una base sicura ed affettuosa sarà tendenzialmente in grado di costruire relazioni basate sulla fiducia e il rispetto reciproci o al contrario il rapporto con una madre vissuta come particolarmente ansiosa, intrusiva può comunicare al bambino l’idea che il mondo sia pieno di minacce e che degli altri non ci si possa fidare. Da grande, quest’uomo potrebbe costruire rapporti basati di fondo sulla sfiducia verso gli altri e sempre con la sensazione che potrebbe essere lasciato e non amato abbastanza.

Una buona notizia

Eppure una possibilità di svincolarsi dal passato c’è. Altri studiosi, successivamente, hanno dimostrato qualcosa di estremamente consolante: alcuni adulti che raccontavano esperienze di legami per nulla positivi con la loro figura di attaccamento, da adulti potevano comunque divenire capaci di costruire rapporti sereni ed equilibrati con il partner, così come con i propri figli.

Com’era possibile?

Queste persone avevano sviluppato la consapevolezza che i comportamenti dei loro genitori non erano quello che desideravano replicare. Avevano smesso di accusare i genitori, cercando di osservarli senza giudizio e di comprenderli un po’ di più.

Avevano capito che le loro personali difficoltà di figli erano collegate a quelle dei genitori ma, invece di voler cambiare questi ultimi, cercavano dei modi diversi di comportarsi personalmente. E ci riuscivano.

Un’alternativa concreta

Osservarsi, riconoscere a se stessi che ci sono degli aspetti significativi non risolti e decidere di affrontarli è possibile ed utile. Senza paura o vergogna: non siamo responsabili degli errori o delle difficoltà di chi ci ha cresciuto. Ma siamo responsabili dei nostri.

A volte si riesce ad elaborare questa consapevolezza da soli, altre volte è necessario l’incontro con uno psicoterapeuta.

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